18 novembre 2008

Studenti e movimenti * dove andrà l'onda ?


E’ probabile che nè Tremonti, con i suoi art 15-16-17-66 della Finanziaria 2009 (30 giugno), nè la Gelmini, con il suo DL 133 (6 agosto), avrebbero mai immaginato che le prevedibili proteste nel mondo della scuola, più o meno giustificate, avrebbero assunto la dimensione e la durata attuale, ne che sarebbero riusciti, vero miracolo, a risvegliare da almeno 20 anni di rassegnazione quel mondo dell’istruzione umanistica e scientifica che dovrebbero essere il motorino di avviamento di qualunque progresso di una nazione e di una società.

Se si va ai particolari, ci sono parecchie cose buone all’interno dei decreti Gelmini: il mantenimento dei libri di testo per 4-5 anni, il contenimento del numero di corsi aumentati al di là di ogni ragionevole esigenza di differenziazione, lo stop al proliferare delle sedi distaccate, l’intenzione di mettere sotto controllo i bilanci delle facoltà, l’introduzione del sorteggio nella definizione delle commissioni di valutazione, limpegno a espandere le borse di studio, l’intenzione di ringiovanire l’età media di ordinari e associati visto che ad oggi si può ampiamente superare i 70 anni nella carriera universitaria a discapito dei più giovani.
Ma quando si va a vedere il quadro di fondo nel quale si vuole incorniciare questa specie di riforma o controriforma a puntate, appare inequivocabilmente il carattere asfittico, al limite punitivo, comunque antiriformatore del disegno del governo.

In un paese dove la spesa per l’istruzione universitaria e la ricerca publica sono al fondo della classifica europea, sia rispetto al PIL (0,75% ), sia rispetto alla spesa publica in generale (1,5%) , l’obiettivo di ridurre entro il 2010 di almeno 500 milioni la spesa per l’istruzione (e di parecchi miliardi nei prossimi anni) non può che precludere ad un ulteriore aggravamento della condizione universitaria, al fondo della quale si fa balenare la opzione-minaccia, peraltro decisamente improbabile, delle fondazioni e della privatizzazione. Come si può ridurre le sedi distaccate, aumentare le borse di studio, abbassare l’età media dei docenti, aumentare le strutture abitative per gli esterni, espandere l'Erasmus, se contemporaneamente si restringe, invece di aumentare, le spese per l’istruzione e la ricerca?

E’ proprio l’ipocrisia di questo quadro evidentemente non credibile che ha portato migliaia di studenti e con loro di fatto l’intero mondo della scuola, compresa parte dei ricercatori, dei docenti, dei genitori, ad andare più in là, ad interrogarsi in modo collettivo invece che nel chiuso della propria frustrazione individuale sul perché tutto questo tortuoso percorso di scolarizzazione che occupa di fatto tutta la fase giovanile delle nuove generazioni approda poi, nella maggior parte dei casi, ad un futuro privo di sbocchi, dove la precarietà è ormai considerata la norma e dove si arena qualunque eventuale “selezione” basata sul merito; così la collocazione sociale della famiglia, l’opportunità della raccomandazione o le variegate possibilità di ricatto si ripresentano come reali e uniche forme di sbocco, a meno che non si sia disponibili a lasciare il paese e cercare una attività all’estero.

E’ difficile dire dove la vera e propria onda che ha travolto il mondo della scuola andrà a scaricarsi, visto che da nemici e supposti amici non vengono grandi contributi. Che l’Italia sia un paese dove manca una forza politica o sociale realmente riformatrice, tanto più in questo settore cosi importante, non è una novità; basti pensare a quanto inefficaci si presentino alla fine gli atti degli ultimi ministri nel settore (Berlinguer,Moratti,Mussi,Gelmini), che non hanno smosso la scuola italiana da quella posizione al fondo delle classifiche europee; difficile anche trarre esperienza dai movimenti giovanili del passato, dal ‘68 in poi, per la diversità del quadro sociale e per i pericoli di strumentale critica sempre presenti. Nel dibattito fra gli studenti, che stanno consolidando forme di coordinamento stabile, ma anche un livello molto approfondito di riflessione, c’è una significativa attenzione all’esperienza francese del 2006 dove un movimento giovanile di studenti e di giovani precari o disoccupati costrinse DeVillepin a ritirare una legge, già approvata, che instaurava fra l’altro una totale precarietà del lavoro fino ai 26 anni.

Non ultimo questo movimento deve fare i conti con la repressione, sia quella dichiarata da Berlusconi-Maroni che vorrebbero vendere agli italiani la solita immagine un po’ patetica dello scontro destra-sinistra e quindi risolvibile come problema di ordine publico, sia quella insidiosa delle azioni di infiltrazione-provocazione di gruppi neo o post fascisti.Due modi attraverso i quali tutti i movimenti giovanili radicali o di contestazione della società italiana sono stati messi nell’angolo negli ultimi 30 anni.

Nelle prossime scadenze del 28 novembre e del 12 dicembre, dove l’intero movimento ritornerà in piazza in tutta Italia si vedrà quanto l’onda sarà capace di scavalcare gli innumerevoli ostacoli che le si pongono davanti.
Ma soprattutto lo si vedrà nella capacità di consolidare in modo permanete le proprie forme di organizzazione e discussione dentro le sedi scolastiche e di allargare una rete non strumentale di alleanze, di consensi e di simpatia nell’intera società italiana, che è l’unico modo per non farsi cancellare.

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