14 febbraio 2011

Famiglia, povertà, legittimità


di Ivana Nannini

Stiamo assistendo da tempo ad un progressivo impoverimento delle famiglie italiane, appartenenti a quelle fasce sociali che sono state definite basse, per salire fino a quelle che sono state definite ceto medio.

Ormai la condizione di povertà coinvolge un numero crescente di gruppi famigliari, il che porta con sé della conseguenze.

Quale modello di stabilità sarebbe possibile che queste famiglie potessero, possano veicolare , in quella condizione di precarietà costante, fatta di debiti, frustrazione costante, insoddisfazione, rabbia, difficoltà a gestire i figli e ad educarli…?

E come possono i figli, in un tale contesto, riuscire a pensare ad un proprio progetto di vista stabile ?

Le famiglie in quella condizione si sentono sovente giudicate, osservate, temendo che da un momento all’altro anche i figli possano essere loro sottratti; figli che a loro volta si trovano in una condizione emotiva doppia e contrastante, da una parte provando attaccamento alla famiglia e dall’altra provando risentimento e desiderio di fuga.

La precarietà non aiuta a tenere unite le famiglie, che anzi le frantuma e le divide, separa e non unisce.

In un contesto simile, i ruoli genitoriali , presi fra umiliazione, disperazione, rabbia e vergogna, facilmente mettono in azione forti meccanismi di difesa e oscillano fra un’educazione permissiva ed una autoritaristica, o l’indecisione, con l’esito di una forma caotica.

Sentono, quelle famiglie, quei genitori, di avere perduto un ruolo, di avere perduto il valore della propria parola; i ruoli sono svuotati di senso e le famiglie sono stigmatizzate e sovente agiscono condotte autodistruttive.

Parallelamente si osserva che è cresciuta in modo esponenziale la violenza alle donne, in tutte le classi sociali, ricche e povere, così che le politiche di genere si sono attivate a livello europeo ed internazionale, per mettere freno a questa violenza, che fa vittime, e riesce ad uccidere.

Da un lato una violenza economica che schiaccia interi nuclei familiari e soffoca la speranza di una vita dignitosa, dall’altra una violenza fisica che riesce ad ammazzare.

C’è poi anche la violenza sul mondo del lavoro, che si manifesta in moltissimi modi, sia con referendum-ricatto sulla questione se si vuole lavorare o meno, sia con riduzioni massive di personale che sono imposte

senza poter discutere o mediare, sia con operazioni di mobbing etc..

Una violenza che si manifesta con un traumatismo continuo, obbligando i soggetti ad una tensione psicologica che non di rado porta al suicidio.

L’attacco narcisistico è massivo, se qualcuno può dalla mattina alla sera, estromettere dal lavoro, dequalificare il modo di vivere di interi gruppi sociali e rendere vuoto di senso un ruolo parentale.

La donna in tutto questo appare sempre più oggettificata, merce di scambio, e decapitata della propria soggettività.

Decerebrata, ma non decorporizzata, in quanto ricondotta a semplice carne.

Una violenza che insorge con forme anche estreme, cui sembra impossibile resistere, facendo prevalere un terrorismo psicologico di qualche rilievo nel funzionamento stesso dei soggetti.

La vittima, le vittime di tanta violenza, sono escrete, tagliate fuori, colpite e aggredite proprio nella soggettività, nel diritto alla parola, nel diritto al lavoro, nel diritto alla vita.

Per non dire delle famiglie migrate e magari clandestine.

Forse una riflessione sulla violenza in generale, e sulle sue forme, sia come vittime che come autori, di violenza, discredito, umiliazioni, ristrutturazioni aziendali che lasciano a casa un numero straordinario di persone dovrebbe essere più articolata.

“il sistema irradia infatti indifferenza nei confronti degli sforzi umani, irradia indifferenza organizzando rapporti di sfiducia, cioè uno stato in cui non c’è motivo di avere bisogno di qualcuno …. Alla sensazione di non essere indispensabili è logico reagire con la mancanza di responsività…Ma un regime che non fornisce agli esseri umani ragioni profonde per interessarsi gli uni agli altri non può mantenere per troppo tempo la propria legittimità“

(R.Sennet –L’uomo flessibile-UE Feltrinelli )

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