13 dicembre 2011

Monti non è Bruce Willis e non siamo ad Armageddon


di Giovanni Chiambretto (GCT Lombardia)

Per quanto si voglia riproporcelo, il film italiano che si sta svolgendo non è Armageddon, Monti non è Harry (Bruce Willis ), e nessun meteorite sta per distruggere l’Italia. Monti con il suo equipaggio di funzionari non è neanche Ciampi. Quello era un uomo delle istituzioni, nel ’43 ufficiale dell’esercito, poi passato alla Resistenza; preparato, ma con una sensibilità istituzionale ed una cultura che non è quella di Monti.
Monti è uomo dei poteri forti, consulente di Goldman Sachs (come Draghi), membro del gruppo di Bildelberg, di recente collaboratore di Barroso alla Commissione Europea, rettore dell’università della Confindustria e tant’altro.

La sua candidatura è stata preparata fin da prima dell’estate (quando è stato scelto Draghi per la BCE) nei salotti buoni in accordo con la finanza che conta europea ed americana. Tanti interventi preparatori hanno preceduto questa svolta repentina: dichiarazioni della Marcegaglia, la linea del Corriere della Sera e degli interessi che ci sono dietro con Mediobanca, le prese di posizione della CEI, etc. etc….

Tutti adesso si sono accodati, ma il punto di partenza è noto: Berlusconi non era più compatibile con la gestione che costoro intendevano dare alla ristrutturazione finanziaria, economica, sociale dell’Italia e più in generale dell’Europa ( di cui l’Italia è la terza delle quattro colonne portanti ).
La squadra di governo è incentrata su personaggi che hanno a che fare con questi ambienti, qualche accademico, qualche professoressa nordista, qualche funzionario dello stato, qualche generale o ammiraglio, qualche zavorra necessaria come il vecchio nuclearista Clini. In aggiunta, fra i sottosegretari, qualche personaggio non in vista che fa riferimento ad aree di partito, non ultimo uno di Comunione e Liberazione. Età media dei membri del governo: comunque la più alta dal dopoguerra e la più alta fra quelli in carica di tutta Europa.

Il programma di governo è chiaro, sostanzialmente incentrato sullo spostamento delle risorse del paese troppo distribuite in troppi anfratti della società, portandole nelle mani di pochi gruppi economici e finanziari, cambiando i rapporti sociali interni e le relazioni internazionali. I partiti consolidatisi con le riforme istituzionali ed elettorali degli anni ’90 non erano in grado o non disponibili a farlo fino in fondo. Il resto è letteratura, chiacchiericcio da lasciare ai partiti a beccarsi nei talk-show ( non ancora per tanto perché questi, al contrario del Berlusca, la TV dei talk show la vogliono coprire ).

Non bisogna farsi ingannare dalla propaganda: non è un governo “buono”, non ha la vocazione all’equità né appare interessato seriamente ad un rilancio dell’economia quella che sia, ne tanto meno a come potremmo intendere noi ad una conversione dell’economia in senso moderno, cooperativo, democratico, ne tanto meno “ecologico”. Sull’equità grida vendetta che al Ministero dello Sviluppo e dei Trasporti sia andato il presidente di una banca che si è attribuito 31 milioni di bonus in due anni (tassati al 10% oltretutto).
L’obiettivo è appunto quello di riequilibrare e ridistribuire ricchezza e reddito, concentrarne almeno il controllo in un ristretto gruppo di organismi in gran parte anonimi dell’economia e della finanza. Si tratta di una operazione politica complessa e sofisticata che si sta giocando su possibili scenari diversi che si chiariranno questa primavera dopo che si sarà completato il ricambio governativo, oltre che di Grecia, Portogallo e Spagna, dell’ Italia, e soprattutto Francia e Germania. Di Islanda o Ecuador, che si sono autoridotti il debito, ce ne già di troppo.

L’intreccio bancario-industriale italiano (e non solo italiano) ha oggi il suo punto di forza e di debolezza nelle banche. A parte qualche piacevole ed intelligente anglosassone alla Naomi Klein o Noreena Hertz, in Italia dobbiamo accontentarci di Grillo e della Gabanelli ( e meno male che ci sono..) a spiegarci il ruolo delle Banche. Le banche (italiane ma non solo) hanno in mano l’86% del debito pubblico che ormai supera i 1900 miliardi di euro. Mentre i privati (anche vostra zia) hanno in mano il 14%. Viene da ridere quando si parla del “giudizio dei mercati”. Se tre grosse banche muovono coordinate un’unghia, il rendimento dei CCT potrebbe andare al 20% domattina e viceversa.

Le banche sono in situazione di pericolo, ma nello stesso tempo, se si accettano queste regole del gioco, hanno le mani alla gola dello Stato e di tutto il sistema e possono stringere quando e come vogliono. Hanno tempo fino all’inizio del 2013, cogestire la riforma elettorale in modo da impedire sgraditi ospiti nel nuovo Parlamento lasciando prima qualche mese ai partiti ( di destra, di centro e di sinistra) per reinventare qualcosa di non serio che li divida, per ridare “un offerta” al mercato degli elettori.

A prescindere dai Beni dello Stato italiano che sono un bel malloppo, si stima che i risparmi degli italiani superino i 9000 miliardi di euro per cui i debitori in fondo sono solvibili, ma chi ha in mano il debito ha in pugno la situazione. Sempre stanti queste regole del gioco, perché ad esempio si potrebbero anche nazionalizzare le banche, o selezionare, congelare, rinegoziare parte del debito, e nessun meteorite ci cadrebbe sulla testa. Ma ciò comporta una rivoluzione o, diciamo meglio, l’affacciarsi di una alternativa consistente e capace di egemonia.

Si tratta di capire cosa vogliono costoro. Sembrerebbe che ( per ora) abbiano calcolato che per riportare un equilibrio potrebbe essere sufficiente ridurre del 20% il livello di vita medio degli italiani. Questo è lo scenario. Diciamo scenario perché la situazione è intricata ed in movimento. Non c’è un Grande Fratello che ha già deciso tutto. È come in una guerra dove si fa un piano e lo si adatta progressivamente alle evoluzioni delle circostanze. È evidente che si deve superare un ciclo produttivo che è cominciato nella seconda metà degli anni ’90 con le delocalizzazioni all’estero di attività produttive (15.000 imprese italiane oggi solo in Romania) accumulando capitali ciucciati in Italia, reinvestiti in parte all’estero ed in parte trasferiti in lingotti d’oro e altro nelle cassette di sicurezza tipo Svizzera ( cassette non se ne trova più).

segue...

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