27 settembre 2013

L’azienda Italia va a picco


L’azienda Italia va a picco, oggi in vendita ci sono le telecomunicazioni ed i trasporti aerei. La cosa non mi sorprende, era perfettamente prevedibile ed i mercati lo sapevano tant’è che nessun investitore straniero si è trovato nella pessima posizione di socio di minoranza. All’estero il declino industriale dell’Italia è da almeno tre anni una realtà, in casa sembra ancora un film di Fanta-economia di serie B. Il motivo? Il passatempo nazionale: il gioco delle tre carte. Un imbroglio dietro il quale si nasconde alla popolazione una triste verità: una classe politica di bassissima levatura ha dato in gestione l’economia nazionale a manager ignoranti ed incompetenti.
Quando alcuni anni fa scrivevo che vista dall’estero l’Italia è la classica Repubblica delle Banane, nessuno ci voleva credere perché come affermava Berlusconi “cinema, ristoranti ed aerei sono tutti pieni“; quando nell’autunno del 2011 scrivevo che il Paese era già fallito, le mie parole scatenavano una violenta reazione da parte degli economisti ‘di regime’, quelli che le banane le guardavano dal lettino costantemente parcheggiato in riva al mare. Sostenevano che a differenza di quelle straniere, le nostre banche erano solide e tra queste, naturalmente, c’era anche il Monte dei Paschi di Siena.

E’ andata ancora peggio quando scrivevo che i soldi elargiti al sistema bancario italiano da Draghi con il “Litro” e dalle banche centrali europee con il T2, per evitare che l’Italia implodesse e con essa l’euro, non erano finiti nell’economia reale ma erano transitati per i vasi comunicanti dell’economia monetaria delle banane. Che significa? Che questo denaro ha compensato la fuga dei capitali all’estero e sottoscritto l’aumento del debito pubblico italiano per pagare a mala pena gli interessi su un volume totale ingestibile (ormai ben oltre la soglia del 130 per cento).
Quando poi ho denunciato la speculazione edilizia che i nostri compatrioti hanno condotto e continuano a condurre sia a Londra che in Germania con i capitali in fuga, sono stata accusata di essere un’economista talebana che ce l’aveva con i benestanti. Ed ancora, quando prima, durante e dopo la campagna elettorale ho ripetuto ad infinitum che le due più grosse bufale del secolo sono l’austerità espansiva, di cui parlavano i Montiani ed i vari Giavazzi e Alesina, e la vendita del patrimonio nazionale per pagare il debito auspicata da Zingales e quel signore molto poco educato che si chiama Boldrin, a quel punto sono arrivate le ingiurie e le minacce su Facebook, Twitter ed anche per telefono.
Non potevano mancare le critiche degli economisti ‘contro regime’, quelli provenienti dalla nebulosa della sinistra, un’area ideologica indescrivibile ed incomprensibile, di cui fanno parte economisti come Fassina, militanti arrabbiatissimi seguaci della teoria del giornalista Barnard che vogliono stampare montagne e montagne di moneta, persino alcuni economisti contrari all’euro hanno storto il naso.

Tutti questi signori praticano il gioco delle tre carte, sono illusionisti, non necessariamente delinquenti, si badi bene, e molti lo fanno perché non hanno scelta. Ai tempi del fascismo bisognava avere la tessera per lavorare e far carriera, oggi devi far parte di una squadra che fa il gioco delle tre carte. Se non lo fai sei perduto perché nessuno ti copre le spalle, anzi dai fastidio perché rompi il cerchio; se poi sei una donna indipendente e usi principalmente quella parte del corpo umano che si chiama cervello, allora sei finita! Se non fosse per giornalisti coraggiosi – i capitani in Italia non ci sono – come Paragone, la Merlino o Gomez, Giordano e pochi altri, il vero dialogo e contradditorio economico apparterrebbe alle parole obsolete.
La cosa divertente è che dato che in Italia tutti giocano alle tre carte sono tutti vittime della stessa truffa: la formula per la ripresa non c’è e l’economia del Paese va sempre peggio, la ricetta applicata fino ad oggi è stata disastrosa. Ormai è difficile negare l’evidenza – dal 2009 la nostra economia si è contratta del 9%, la Commissione europea ha detto che siamo l’unico Paese di Eurolandia che si sta de-industrializzando, vendiamo Alitalia e Telecom per un decimo del prezzo che avremmo ottenuto solo pochi anni fa ecc. ecc.. Di fronte al fallimento dell’economia i guardiani delle banane hanno cambiato musica. Dalle pagine del Corriere i paladini dell’austerità espansiva la condannano e su quelle del Financial Times quelli ‘contro regime’ inviano un SOS disperato.

Nell’autunno del 2011 quasi tutti questi signori tacevano ed applaudivano il governo tecnico, se la godevano in riva al mare sotto le banane. La responsabilità del fallimento Italia è anche degli illustri economisti nostrani, che non hanno il coraggio neppure di pensare ‘fuori dal coro’. Fatta eccezione di voci autorevoli come il Prof. Gallino, la maggior parte usa anche armi meschine per far fuori i rivali che sono più bravi, tra le vittime c’è anche Oscar Giannino, che certamente non condivide molte delle mie tesi, ma che da professionista onesta ho sempre rispettato per la lucidezza delle sue analisi.
Vorrei ricordare ai vari cattedratici che oggi abbracciano il movimento anti-austerità che per diventare un buon economista non basta una laurea, una cattedra, né una collezione di libri didattici, ci vuole la passione per la materia, una lunga gavetta e l’umiltà di ascoltare tutte le voci fuori dal coro. 

 *  su ilfattoquotidiano.it,   27 settembre 2013

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