21 marzo 2015

Myanmar: La vendetta del Buddha



di Ilaria Benini * 

Un tri­bu­nale bir­mano ha con­dan­nato a due anni e mezzo di pri­gione e lavori for­zati i tre gestori di un bar di Yan­gon, la più grande città del paese. Phil Blac­k­wood, bari­sta neo­ze­lan­dese, e due suoi col­le­ghi bir­mani, Htut Ko Ko Lwin e Tun Thu­rein, sono stati con­dan­nati per vili­pen­dio alla reli­gione, a causa di un volan­tino pub­bli­cato su Face­book per pro­muo­vere una serata del loro locale, il VGa­stro Bar. Il volan­tino raf­fi­gu­rava una testa di Bud­dha con cuf­fie da dj in colori psi­che­de­lici. L’immagine ha sca­te­nato l’ira di molti com­men­ta­tori su Face­book, il social media che per molti bir­mani è sino­nimo di Inter­net tout court; i gestori l’hanno quindi rimossa, chie­dendo scusa pub­bli­ca­mente sulla loro pagina. Ma di fronte al locale si era già for­mato un assem­bra­mento di per­sone, tra cui alcuni monaci dell’Associazione per la pro­te­zione della razza e della reli­gione, o ma-ba-tha.

Inte­gra­li­smo bud­di­sta e nazio­na­li­smo sono movi­menti in forte cre­scita in rea­zione alla recente aper­tura poli­tica ed eco­no­mica del Myan­mar, paese su cui il mondo ha pun­tato gli occhi da quando, nel 2010, i mili­tari — al potere in forma diretta o indi­retta dal 1962 — hanno con­cesso ele­zioni e in seguito appro­vato la for­ma­zione di un governo semi-civile che si è dimo­strato rifor­ma­tore in più momenti, ad esem­pio libe­rando cen­ti­naia di pri­gio­nieri poli­tici, oltre che ridu­cendo il con­trollo della cen­sura e con­ce­dendo più libertà d’espressione. L’ondata di otti­mi­smo inter­na­zio­nale, san­cita dal ritiro delle san­zioni da parte dell’Unione euro­pea e degli Stati uniti nel 2013, si sta però esau­rendo, men­tre tra la popo­la­zione locale cre­scono pre­oc­cu­pa­zioni e ten­sioni in vista delle pros­sime ele­zioni poli­ti­che pre­vi­ste per novembre. Ben set­tan­tuno par­titi si sono già regi­strati per con­cor­rere alle ele­zioni, anche se la grande sfida sarà gio­cata tra l’Usdp, il par­tito che rap­pre­senta il volere dei mili­tari, e l’Nld, o Lega Nazio­nale per la Demo­cra­zia, il prin­ci­pale par­tito di oppo­si­zione sim­bo­li­ca­mente rap­pre­sen­tato dall’icona del movi­mento demo­cra­tico Aung San Suu Kyi. Sim­bo­li­ca­mente, per­ché la costi­tu­zione non le per­mette di can­di­darsi alla pre­si­denza del paese, a causa dei pro­pri legami fami­liari con per­sone di nazio­na­lità stra­niera (i suoi figli hanno nazio­na­lità britannica).

Il Myan­mar sta affron­tando nume­rose sfide nel suo cam­mino verso la demo­cra­zia, cui la popo­la­zione inneg­gia a gran forza nelle mani­fe­sta­zioni che in que­sti anni ven­gono final­mente auto­riz­zate. Il paese è tut­tora attra­ver­sato da vio­lenti con­flitti tra l’esercito cen­trale bir­mano e alcune mino­ranze etni­che, tra la mag­gio­ranza bud­di­sta e la mino­ranza musul­mana, oltre che dall’impresa di assor­bire l’investimento stra­niero che sta pro­vo­cando pro­blemi legati all’esproprio di terre, ai diritti dei lavo­ra­tori, ai rischi per l’ambiente. Stra­te­gi­ca­mente loca­liz­zato tra Cina e India, il Myan­mar offre sbocco sul mare, ampie risorse natu­rali, mano­do­pera a basso costo e quasi ses­santa milioni di poten­ziali con­su­ma­tori. Le imprese ita­liane sono ancora poco pre­senti nel paese, ma dal 2014 è arri­vata Eni con due pozzi esplo­ra­tivi on-shore e in gara per l’esplorazione di pozzi off-shore.

L’arrivo del capi­ta­li­smo sta ine­vi­ta­bil­mente inne­scando una serie di shock cul­tu­rali e pro­ces­suali in un paese che è stato iso­lato dal resto del mondo per quasi cinquant’anni, con­trol­lato da un regime socia­li­sta autar­chico per ven­ti­sei anni, e in seguito, sul punto del tra­collo eco­no­mico, aper­tosi all’investimento stra­niero (in par­ti­co­lare cinese, ma anche thai­lan­dese, indiano, sud-coreano e di Sin­ga­pore) per poter con­ti­nuare a forag­giare la costosa mac­china mili­tare. Di fronte alla cre­scente sfi­du­cia popo­lare, secondo molti osser­va­tori e cit­ta­dini comuni il governo sta facendo passi indie­tro e lo dimo­stre­reb­bero nume­rosi avve­ni­menti recenti. Nono­stante si sia giunti al set­timo turno di dibat­ti­menti per il rag­giun­gi­mento della pace tra­mite un ces­sate il fuoco nazio­nale, nel nord del paese la guerra civile con­ti­nua. Nello stato Kachin, l’esercito bir­mano ha rotto il ces­sate il fuoco per ripren­dere il con­trollo dei ter­ri­tori ric­chi di risorse ener­ge­ti­che gestiti dall’esercito indi­pen­dente Kachin e, dal 2011, non si è ancora tro­vato un accordo. Nel con­fi­nante stato Shan, da poco più di un mese l’esercito bir­mano è impe­gnato in un’offensiva con­tro i ribelli Kokang, che com­bat­tono per man­te­nere la loro indi­pen­denza come mili­zia e il con­trollo su un ter­ri­to­rio molto lucra­tivo per il traf­fico di oppio e metan­fe­ta­mine. All’interno di que­ste ope­ra­zioni, un aereo bir­mano ha sgan­ciato delle bombe in ter­ri­to­rio cinese ucci­dendo quat­tro per­sone. La Cina ha con­dan­nato l’azione, ma per via del forte legame eco­no­mico tra i due paesi non si è spinta oltre, con grande disap­punto della sua cittadinanza. Nella parte di paese che vive in con­di­zioni di pace, la società civile e i par­titi poli­tici sono impe­gnati nel com­plesso per­corso di costru­zione e nego­zia­zione del pro­cesso demo­cra­tico. 

Dallo scorso novem­bre un movi­mento stu­den­te­sco di pro­te­sta ha attra­ver­sato il paese in una lunga mar­cia non auto­riz­zata che si è arre­stata alle porte di Yan­gon per lasciare spa­zio alle trat­ta­tive cl par­la­mento. Gli stu­denti con­te­stano la Legge Nazio­nale per l’Educazione, che limi­te­rebbe la libertà accademica. La pro­te­sta è stata repressa con la vio­lenza dalla poli­zia, ricor­dando a molti gli avve­ni­menti del 1988, quando migliaia di stu­denti e mani­fe­stanti ven­nero uccisi dall’esercito in uno dei momenti più tra­gici della sto­ria bir­mana con­tem­po­ra­nea. La poli­zia impie­gata nell’operazione è stata adde­strata dall’Unione Euro­pea, che in seguito all’episodio ha dichia­rato la neces­sità di ulte­riori inter­venti col­la­bo­ra­tivi. Circa cen­to­venti per­sone sono state arre­state, tra stu­denti e gior­na­li­sti.
È sulla paura che punta la ma-ba-tha, pro­ta­go­ni­sta della cam­pa­gna con­tro i tre gestori del bar con­dan­nati. L’associazione è vicina a U Wira­thu, lea­der molto popo­lare del movi­mento nazio­na­li­sta 969, salito alla ribalta delle cro­na­che per esser stato defi­nito dal Time «il volto del ter­rore bud­di­sta» e più recen­te­mente per aver chia­mato «put­tana» Yan­ghee Lee, l’inviata spe­ciale dell’Onu per i diritti umani in Myanmar. L’antagonista prin­ci­pale del movi­mento nazio­na­li­sta è la comu­nità musul­mana, sti­mata al 5 per cento della popo­la­zione, con­tro il 90 per cento bud­di­sta. A mag­gio l’Onu pub­bli­cherà i risul­tati del primo cen­si­mento nazio­nale svolto in trent’anni, pronto a infiam­mare ulte­rior­mente lo sce­na­rio già fragile. Più di 240 per­sone sono morte in con­flitti tra bud­di­sti e musul­mani, e a cen­ti­naia di migliaia sono rima­sti senza abi­ta­zione e lavoro.

Un pro­cesso di seco­la­riz­za­zione è ini­ziato, ma la reli­gione bud­di­sta man­tiene una grande influenza poli­tica in Myan­mar, in par­ti­co­lare per il suo ascen­dente sulla popo­la­zione, spe­cial­mente impor­tante in vista del voto di quest’anno. I gene­rali si sono ser­viti a lungo degli appa­rati reli­giosi per man­te­nere il con­trollo sul paese e, seb­bene molti monaci siano atti­va­mente impe­gnati nel pro­cesso di demo­cra­tiz­za­zione, gli ultimi eventi sem­brano indi­care che è la fazione fon­da­men­ta­li­sta ad avere la mag­giore influenza sul paese.

nella foto: Phil Blac­k­wood in tri­bu­nale con la locan­dina incriminata

*  da il manifesto – 20 marzo 2015

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