23 febbraio 2015

Amburgo: sconfitta la CDU



Nella seconda città tedesca per abitanti, e la più ricca in assoluto, si sono svolte le elezioni regionali il 15 febbraio. Nella città-stato di Amburgo appare grave e netta la nuova sconfitta del partito della Merkel che è ancora sceso, al 15,9%, dal 21,4% del 2011 mentre era addirittura al 42,6 % nel 2008. Risultato lontano anche da quel 40% ottenuto a livello nazionale nelle politiche dello scorso anno. 

Si riconferma il governo del socialdemocratico  Olaf Scholz, leader locale cresciuto politicamente nell'era del governo (1998-2005) del cancelliere socialdemocratico riformista Gerhard Schroeder e del suo vice, l'allora leader verde Joschka Fischer. Per quanto la SPD abbia ottenuto il 45,7% e 58 seggi su 121,  per governare ( qui non ci sono i sistemi truccati all’italiana ed al solito funziona bene il proporzionale con quorum al 5% ) si dovrà formare una coalizione, probabilmente con i Grunen che sono il terzo partito con 12 seggi.


Dieci anni fa i democristiani avevano espugnato Amburgo ( tradizionale bastione  socialdemocratico nel dopoguerra) grazie al loro candidato, Ole von Beust.  Un modernista, riformatore, esponente di spicco dell'ala aperturista della CDU di cui è parte anche la Merkel,  e popolarissimo anche perché gay dichiarato. Ma quando nel 2010 von Beust ha deciso per ragioni private di lasciare la politica, il partito lo ha sostituito come governatore con il conservatore, tradizionalista, Ahlhaus. Al quale gli elettori, anche e soprattutto la consistente borghesia illuminata della metropoli anseatica, hanno preferito un ritorno della SPD, che col suo leader locale riformista e anti massimalista, Scholz appunto, aveva ottenuto il 49,4%. 

Singolare commenti e titoli dei media italiani che al solito proiettano anche sugli avvenimenti esteri quella lettura dei fatti sempre deformata a cui ormai sembrano assuefatti gli italiani. Titoli e commenti indicano o grande risultato dell’SPD ( che è sceso di quasi 4 punti)  o grande  vittoria degli euroscettici dell’AfD perchè con il 6,1 superano il quorum del 5% ed entrano nel quarto land della Germania.

In realtà l’SPD ha perso voti e seggi, gli unici che hanno aumentato i voti sono i non votanti con l’astensione al 43%.

Gli euroscettici dell’AfD non hanno affatto trionfato. Con il 6,1% ( dal 4,7% del 2013) sono appena sopra al 5% e comunque al di sotto del 7,04 % delle elezioni europee del maggio scorso. 

Gli unici che mantengono un profilo in salita seppure moderata sono i Grunen al 12,2 % ( dall’11,2%  del 2011 e 9,6%  del 2008 )  e la Linke  ( all’8,5% dal 6,4% del 2011). Tengono il quorum i liberali dell'FDP.

Ma tant’è, per i nostri velinari perdere troppo tempo con i numeri per dare una informazione più precisa non vale la pena. In fin dei conti mica siamo amburghesi.

mm      

22 febbraio 2015

Un premier che marcia spedito verso l’800




di  Michele Prospero*

È evi­dente che, con i decreti attua­tivi della fami­ge­rata carta di espro­pria­zione dei diritti deno­mi­nato Jobs Act, la Costi­tu­zione non è più la stessa. La prima parte, quella dei valori fon­da­men­tali, anche se non ancora toc­cata in modo espli­cito, è inde­bo­lita dalla legi­sla­zione più recente, vera pistola pun­tata con­tro il resi­duale diritto del lavoro. Frutto della seconda costi­tu­zio­na­liz­za­zione, lo Sta­tuto del 1970 era il com­pen­dio di una con­giun­tura sto­rica irri­pe­ti­bile che pre­sen­tava con­di­zioni poli­ti­che più favo­re­voli al mondo del lavoro. L’articolo 18 era in fondo il sim­bolo della rela­tiva potenza accu­mu­lata dal lavoro, rispetto al domi­nio asso­luto del capi­tale, e la dimo­stra­zione dei frutti posi­tivi sca­tu­riti dalla con­giun­zione di con­flitto sociale e grande mano­vra politica.

Ad essere col­pito dalla furia restau­ra­trice del governo Renzi è anzi­tutto il potere del lavoro e di con­se­guenza i diritti dei sin­goli dipen­denti si spen­gono come degli astratti postu­lati morali. Il segno di classe della riforma strut­tu­rale varata dal governo l’ha colto bene l’Ocse che, in uno sper­ti­cato elo­gio delle misure ren­ziane, le ha san­ti­fi­cate come l’eden resu­sci­tato della bella volontà di potenza dell’impresa. Nel docu­mento l’Ocse spiega le ragioni del suo inna­mo­ra­mento totale: «accre­scendo la pre­ve­di­bi­lità la norma riduce i costi reali dei licen­zia­menti, anche quando sono giu­di­cati ille­git­timi dai tri­bu­nali e inco­rag­gia le imprese». Sono felici sol­tanto per­ché il governo ha reso meno costosa la facoltà licenziare.

Quest’assalto nor­ma­tivo alla civiltà del lavoro, con la ridu­zione del costo del licen­zia­mento, secondo l’Ocse, è una divina bene­di­zione che accre­scerà la pro­dut­ti­vità per­ché, eli­mi­nando del tutto la pos­si­bi­lità del rein­te­gro per l’esclusione dall’impiego per motivi ille­git­timi, e ridu­cendo anche l’importo dell’indennizzo dovuto a chi viene get­tato sul lastrico, il Jobs Act sol­le­cita il risve­glio imme­diato degli spi­riti ani­mali del capi­ta­li­smo. Senza la sbri­ga­tiva libertà di licen­ziare, il capi­tale non rie­sce più a inve­stire, a inno­vare, a com­pe­tere. E quindi, il piano della nichi­li­stica espro­pria­zione del lavoro, con­ti­nua ad essere per­se­guito come la variante più allet­tante per rilan­ciare l’accumulazione in un paese che si accasa defi­ni­ti­va­mente nelle peri­fe­rie del capi­ta­li­smo glo­bale e che per il suo de te fabula nar­ra­tur guarda ormai all’Albania.
La filo­so­fia del ren­zi­smo si com­pie nel segno di una inte­grale deco­sti­tu­zio­na­liz­za­zione del lavoro. E la sua genuina essenza ideo­lo­gica è con­te­nuta nella cele­bre for­mula sulla libertà dell’imprenditore di licen­ziare come segno di una grande inno­va­zione desti­nata a fare epoca. La nuova legi­sla­zione, in effetti, è il cuore delle stra­volte riforme post-moderne, quelle capo­volte costru­zioni giu­ri­di­che che sop­pri­mono tutele e pic­cole libertà dal biso­gno e asse­gnano pro­prio al sog­getto già eco­no­mi­ca­mente più forte il diritto di schiac­ciare il con­traente più debole della rela­zione lavorativa.

Le con­di­zioni sociali della moder­nità sono basate gene­ti­ca­mente sul dif­fe­ren­ziale di potere tra capi­tale e lavoro. E il diritto del lavoro, nato dallo scon­tro poli­tico della società di massa, cer­cava di cor­reg­gere con gli inter­venti della legi­sla­zione gli squi­li­bri sociali più macro­sco­pici con­fe­rendo poteri cor­ret­tivi al lavoro come potenza sociale col­let­tiva. Ora il diritto muta di segno. E’ costruito il diritto del più forte, cioè è scol­pito anche sulla norma il potere legale san­zio­na­to­rio del capi­tale sul lavoro. Quando all’impresa si con­cede il diritto di licen­ziare il dipen­dente anche per un solo giorno ingiu­sti­fi­cato di assenza, le si con­se­gna un’arma di coer­ci­zione spro­por­zio­nata rispetto all’entità dell’illecito. E’ la pura forza dell’avere che suc­chia l’essere della per­sona che lavora, nel silen­zio della cor­nice pub­blica. Ma Rous­seau spie­gava che il diritto del più forte non è mai diritto. E quello scritto da Renzi è infatti la pura e sem­plice san­zione uffi­ciale e for­male del domi­nio di fatto dell’impresa sulla forza lavoro ridotta a varia­bile inanimata.
Ad domi­nio del capi­tale, scritto già a chiare let­tere nelle ogget­tive leggi dell’economia e con­fer­mato nelle ano­nime rego­la­rità impo­ste dalla divi­sione sociale del lavoro, si aggiunge anche la norma di stampo clas­si­sta che anni­chi­li­sce la rela­tiva auto­no­mia con­qui­stata nel Nove­cento dalla legi­sla­zione pub­blica nel cor­reg­gere le asim­me­trie del rap­porto sociale con norme det­tate dal senso civile e morale di un’epoca demo­cra­tica. Il giu­dice deve ammai­nare gli stru­menti roman­tici con i quali inse­guiva il mirag­gio della costi­tu­zio­na­liz­za­zione dei rap­porti di lavoro. Seb­bene con stru­menti coer­ci­tivi sca­ri­chi, per­ché privi di san­zione effet­tiva verso l’impresa ina­dem­piente, il giu­dice del lavoro aveva intro­dotto la legge e il con­tratto a più stretto col­le­ga­mento con l’essere del lavo­ra­tore. La bocca del giu­dice, nell’accertare la ade­guata pro­por­zione tra fatto e san­zione, ora si chiude dinanzi alla sover­chiante potenza dell’avere, del capi­tale, che fa ciò che crede della forza lavoro, con il modico prezzo di una indennità.
Si dise­gna una indi­vi­dua­liz­za­zione cre­scente delle rela­zioni eco­no­mi­che impo­nendo un secco rap­porto a due, da una parte sta il potere d’impresa che regna incon­tra­stato e dall’altra il lavoro, sog­getto ancor più pre­ca­rio appeso alla deci­sione d’azienda sui tempi, sui costi delle ristrut­tu­ra­zioni, sull’opportunità di un demen­sio­na­mento di ruolo nel posto di lavoro. Lo scam­bio inde­cente tra un (solo) nomi­na­tivo con­tratto a tempo inde­ter­mi­nato e un effet­tivo potere di licen­ziare senza giu­sta causa cam­bia in pro­fon­dità i rap­porti di forza den­tro i luo­ghi di lavoro. Il sin­da­cato è invi­tato a uscire dalla fab­brica o dall’ufficio, non essendo più rile­vante il potere delle orga­niz­za­zioni nel trat­tare le con­di­zioni delle ristrut­tu­ra­zioni, degli esu­beri, dei tempi, delle mobi­lità, dei licen­zia­menti col­let­tivi.

Lo spie­gava bene Spi­noza: quando un sog­getto cede un potere, non ha più le chiavi per riven­di­care i suoi diritti. Non esi­stono infatti diritti frui­bili senza una potenza col­let­tiva che li sor­regge. E l’attacco del governo è, con qual­che per­versa siste­ma­ti­cità, indi­riz­zato con­tro le con­di­zioni (sociali e sin­da­cali) della potenza del lavoro. Strat­to­nato dalle stra­te­gie d’impresa che lo ren­de­vano una varia­bile sem­pre più pre­ca­ria, il lavoro viene ora reso liquido anche dalla norma giu­ri­dica. Il pub­blico si ada­gia alle esi­genze fun­zio­nali dell’impresa pri­vata e costrui­sce un diritto con moduli, tempi, risar­ci­menti mone­tari richie­sti dal capi­tale. Con il suo turbo governo Renzi pro­cede a passi di gam­bero verso l’Ottocento. Nella sua fab­brica entra solo il car­tello che intima alla mano­do­pera di per­dere ogni spe­ranza di riscatto e di non distur­bare il padrone che dà l’opportunità di lavoro, e quindi va santificato.
Nel regime giu­ri­dico duale, cioè con la com­pe­ti­zione inne­stata dalla norma dise­guale che dif­fe­ren­zia tra vec­chi e nuovi assunti ser­ven­dosi di pro­fili discri­mi­na­tori, l’impresa spera di otte­nere mag­giori poten­ziali di ricatto sul lavoro diviso e sotto minac­cia in virtù di nuovi poteri dispo­si­tivi e san­zio­na­tori. Con il suo Pier delle Vigne, la coman­dante dei vigili urbani di Firenze nomi­nata sul campo capo dell’ufficio legi­sla­tivo di palazzo Chigi, Renzi ha dav­vero posto fine al costi­tu­zio­na­li­smo della repub­blica. Già sepolti i suoi sog­getti poli­tici (i par­titi ideo­lo­gici di massa), ora sono spenti anche i suoi sog­getti sociali, il lavoro come sovrano della costi­tu­zione eco­no­mica. E’ comin­ciata un’altra epoca nel segno della destra eco­no­mica, cioè con lo sfac­ciato potere dell’impresa, con la sua giu­ri­sdi­zione pri­vata spie­tata e senza con­tro­par­tite. Il lavoro è scon­fitto, ma non vinto.

·         *  da il manifesto,  21 febbraio 2015

17 febbraio 2015

Rifiuti, “a Ponte nelle Alpi più lavoro con pratiche virtuose e senza cassonetti”



Il Comune in provincia di Belluno è primo in Italia per la gestione della raccolta differenziata ( 91%). Tra le iniziative, il recupero dell'olio vegetale e il riciclo dei pannolini. E i risparmi che ne derivano "sono stati reinvestiti in un incremento occupazionale"

di Chiara Daina  *

Ponte nelle Alpi è il comune campione nel riciclo in Italia. Immerso nel Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi, con 8500 abitanti e 21 frazioni, nel 2014 per il quinto anno consecutivo ha conquistato il primo posto nella classifica di Legambiente. E pensare che organizzare la raccolta differenziata in una superficie di 60 chilometri quadrati dove il punto più basso è a 380 metri di altezza sopra il livello del mare e quello più alto a oltre duemila, è di sicuro più complicato che in pianura.
Per capire qual è il segreto dell’efficienza, bisogna tornare indietro al 2006, quando la quota di raccolta differenziata era del 22,4 per cento, le famiglie ogni producevano quasi tremila tonnellate di rifiuto secco non riciclabile (348 chili a testa) e il costo dello smaltimento ammontava a 438mila euro. Nel 2007 la rivoluzione. L’amministrazione in otto mesi ha smantellato il servizio di cassonetti stradale e lo ha sostituito con quello selettivo porta a porta. Per gestirlo ha creato una società in house, cioè con capitale interamente pubblico, la Ponte servizi srl. Ha stabilito una tariffa puntuale, distinta cioè tra una parte fissa, determinata dai costi del servizio, e una parte variabile, proporzionale alla quantità di rifiuti accumulati.
E intanto ha formato i cittadini alle buone pratiche attraverso 30 incontri. Il successo è stato rapidissimo. Nel giro di un anno la produzione di secco indifferenziato è scesa a 356 tonnellate. Nel 2013, dopo cinque anni, erano cento in meno (28 chili per ogni abitante). In pratica, oggi a Ponte nelle Alpi il 91,5 per cento degli scarti viene differenziato. Con enormi vantaggi per l’ambiente e per le casse comunali, visto che il costo di smaltimento del secco è passato da 438mila euro all’anno a 38mila, incidendo solo per il 4,5 per cento (rispetto al 57 per cento di prima) sulla spesa totale del servizio. Quest’ultima a sua volta si è abbattuta del 12,3 per cento (pari a 117mila euro annui in meno da versare).

L’attenzione in ogni dettaglio – Perfino i contenitori derivano da materiale plastico riciclato. “Il pubblico può fare molto – dichiara l’assessore all’Ambiente Ezio Orzes, dal quale è partita l’idea della conversione ecosostenibile del paese -. Non è vero che è solo grazie al privato che le cose migliorano”. In una mossa, tre benefici: più economia, più rispetto per la natura, più posti di lavoro. “I risparmi – spiega l’assessore – sono stati reinvestiti in un incremento occupazionale. Nel 2006 impiegavamo cinque risorse, oggi 15, addette a raccolta differenziata, gestione dell’ecocentro, spazzamento e pulizia delle strade”. Anche l’ecocentro fa parte del nuovo piano. È un’area attrezzata dove i cittadini depositano rifiuti ingombranti, pile, farmaci. Nel 2013 ha registrato oltre 23mila accessi.

Cambio di mentalità - Una serie di iniziative promosse dall’amministrazione hanno messo in moto dei comportamenti virtuosi. Per esempio, in quasi la metà delle case (il 42,6 per cento) si esegue il compostaggio (la trasformazione del rifiuto organico in humus). Per incentivare gli abitanti il Comune ha fornito in comodato gratuito dei composter e ha applicato uno sconto del 30 per cento sulla parte variabile della tassa. Per favorire il recupero dell’olio vegetale invece ha distribuito oltre mille tanichette da cinque litri, da sversare presso l’ecocentro. Protagoniste del cambiamento anche le scuole. Con il progetto “Sfida all’ultima sporta”, per spronare i bambini e le famiglie a non usare borse a sacchetti di plastica nei supermercati e negozi: una gara a chi collezionava più scontrini senza la voce di acquisto di shoppers. E con laboratori di riciclo, per esempio per realizzare le decorazioni natalizie.

Anche i pannolini usa e getta avranno una seconda vita - Da febbraio sarà attivo il primo sistema sperimentale italiano di raccolta e riciclo del materiale di cui sono fatti, cioè plastica e cellulosa, da cui è possibile ricavare oggetti e arredi urbani (dalla prima) – a Ponte nelle Alpi verrà costruito un parco giochi –  oppure cartoni o fertilizzanti (dalla seconda). Nel frattempo, per alleggerire l’ambiente e il portafoglio, una trentina di famiglie con neonati hanno ricevuto un kit di pannolini di cotone lavabili. Sono partiti anche due “servizi dedicati”: uno per raccogliere panni e rifiuti medicali non pericolosi (una volta alla settimana) presso anziani non autosufficienti, portatori di disabilità e malati in cura a domicilio; l’altro per la consegna dei pannolini all’ecocentro (tramite un pass che il genitore riceve alla nascita del figlio). Tutto gratuitamente.

La ex biblioteca civica è un centro di scambio solidale - Qui l’utente prende o lascia oggetti di seconda mano per bambini da zero a 12 anni, dai vestitini ai giocattoli, passeggini, libri di scuola. In paese si trova anche un distributore di latte crudo alla spina. Negli uffici comunali la carta è al cento per cento riciclata. Sui tetti di undici strutture pubbliche (tra scuole, palazzetto dello sport, cimitero, municipio e magazzini comunali) sono stati installati pannelli fotovoltaici. In due delle tre scuole elementari e in alcune aule della scuola media è presente un sistema che misura la luce che viene dall’esterno e dosa quella artificiale all’interno. In più, nel 2009 è partito il progetto “Pubblichenergie”: gruppi di acquisto di impianti fotovoltaici o di interventi di risparmio energetico (come la sostituzione delle caldaie o l’isolamento dell’edificio). “Se più famiglie si mettono d’accordo nel comprare le stesse cose, lo sconto sui materiali è maggiore – spiega l’assessore all’Ambiente -. Al progetto partecipano altri undici comuni della provincia di Belluno, Ponte nelle Alpi è il capofila. Su 320 famiglie con pannelli solari, 54 sono nostre”.

*  da ilfattoquotidiano  17 febbraio 2015