23 giugno 2016

A quando l’Onda verde? Appello



L’accordo di Parigi sul clima è già dimenticato. È giunta l’ora di promuovere azioni di disobbedienza (sit-in, occupazioni, blocchi ferroviari…) contro le trivellazioni, le centrali a carbone, le raffinerie… E le loro banche. Alex Zanotelli, missionario comboniano, da sempre nelle lotte dei movimenti di base – negli slum di Nairobi come a Scampìa, dove vive ora -, ha scritto questo appello in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente e ha scelto di promuoverlo attraverso Comune.   Per adesioni: appelloclima@gmail.com

Sono già trascorsi sei mesi dal vertice sul clima di Parigi (Cop21), nel quale i potenti del mondo si erano accordati di tenere la temperatura del pianeta sotto un grado e mezzo per evitare il disastro ecologico. L’accordo raggiunto era stato osannato come “l’accordo del secolo”. Il 22 aprile, con una solenne cerimonia al Palazzo di Vetro a New York, i capi di Stato di 175 nazioni hanno firmato ‘L’accordo di Parigi’ , per combattere il surriscaldamento del Pianeta. “Una giornata storica” l’ha definita Ban Ki Moon.
Anche Renzi a nome dell’Italia ha firmato quell’accordo. Eppure, in questi mesi, abbiamo visto in questo paese ben poco che esprimesse la volontà politica per un cambiamento di rotta. Nessun dibattito politico sul clima in Parlamento. Nessuna legge in vista per mettere al bando petrolio e carbone. Anzi abbiamo assistito a un aumento di trivelle per mare e per terra. Renzi stesso ha invitato i cittadini a non andare a votare per il Referendum sulle trivelle a mare (17 aprile), che ha rivelato come il popolo italiano sia lontano dal capire che il petrolio deve rimanere sotto terra. Non solo, ma anche i media non aiutano il popolo a capire la gravità della crisi ecologica.
Ma anche il mondo politico italiano non sembra interessato ad approfondire questo problema. Ne è un segnale chiaro l’assenza quasi totale di questo tema nell’attuale campagna elettorale. Non ho sentito da nessuna parte l’impegno ad andare verso le emissioni zero o sganciarsi progressivamente dai combustibili fossili. Bisogna riconoscere che, a sei mesi dallo ‘storico’ accordo di Parigi, ben poco si è mosso in Italia. Lo ammette anche Via Campesina:”L’accordo di Parigi è totalmente insufficiente per affrontare la problematica del riscaldamento globale.” Infatti l’accordo non contiene nulla di vincolante per gli stati, non fa nessun riferimento ai fossili (petrolio e carbone) e prevede la revisione nel 2023.

La speranza quindi non può che venire dal basso , dalla cittadinanza attiva, da una combinazione di resistenza, resilienza e buone pratiche È l’indicazione che ci viene da Via Campesina: ”La società civile non può restare passiva e deve raddoppiare i propri sforzi per andare oltre il trattato di Parigi e realizzare misure effettive reali, concrete contro il cambiamento  climatico”. In molti paesi i movimenti per la giustizia climatica stanno proponendo e rivendicando l’urgenza di un impegno per tenere il petrolio, carbone e gas naturale sottoterra. Invece ho la netta impressione che, dopo il vertice di Parigi, la società civile italiana sia rimasta silenziosa ‘aspettando Godot…’. Ho la stessa impressione della chiesa italiana, dove ben poco sembra muoversi in questo campo, nonostante la sferzata data da papa Francesco con la sua enciclica Laudato Si’.
È mai possibile che migliaia di attivisti negli Usa, Inghilterra, Australia, Sudafrica, Indonesia abbiano partecipato nelle prime due settimane di maggio alla più grande campagna mondiale di disobbedienza civile contro i combustibili fossili, chiamata Break Free, mentre in Italia non si muove foglia? La situazione climatica è grave. Il 2015 è stato l’anno più caldo della storia. “La porta dei due gradi centigradi si sta per chiudere – ha detto Fatih Birol di Iea (Agenzia Internazionale Energia). Nel 2017 si chiuderà per sempre!”.

Solo un movimento popolare unitario, un’Onda verde, capace di unire le forze sia religiose che laiche, potrà forzare il governo italiano a prendere decisioni. È quanto ci suggerisce papa Francesco in Laudato Si: Poiché il diritto si dimostra insufficiente a causa della corruzione, si richiede una decisione politica sotto la pressione della popolazione. La società attraverso ong e associazioni intermedie deve obbligare i governi a sviluppare normative, procedure e controlli rigorosi. Se i cittadini non controllano il potere politico non è possibile un contrasto ai danni ambientali” (179).
La cittadinanza attiva deve forzare il nostro governo e il parlamento a una legge che ci sganci progressivamente dall’uso dei combustibili fossili (soprattutto petrolio e carbone) e punti alle energie rinnovabili, specie il solare, che non deve essere nelle mani delle multinazionali, ma delle comunità locali. Inoltre deve esigere dal governo un piano nazionale per l’energia.
Per realizzare questo, la cittadinanza attiva deve mettere in campo una serie di azioni non-violente, come fa il movimento internazionale Break Free, contro le trivellazioni, le centrali a carbone, le raffinerie… (sit-in, occupazioni, blocchi ferroviari…).
Infine la cittadinanza attiva deve lanciare una grande campagna di Disinvestimento (Fossil Free) da quelle banche che investono sia sul carbone che sul petrolio. Se vogliamo ottenere dei risultati dobbiamo colpire le banche (oggi il vero potere!), togliendo i nostri soldi, non solo a titolo personale, ma soprattutto a livello istituzionale, come parrocchie o comuni. È una campagna internazionale già in atto che ha portato negli Usa 180 istituzioni all’impegno di ritirare i propri investimenti, per un valore di 50 trilioni da banche che investono in combustibili fossili, tra cui anche il Consiglio Ecumenico delle Chiese (Wcc) e la Federazione Mondiale Luterana. Perfino i Rockefeller hanno deciso di ritirare i loro soldi, iniziando da quelle banche che investono nei due elementi che inquinano di più (carbone e shale). Tra le banche che più investono in carbone (cito quelle più comuni): Deutsche Bank, BpnParibas, Ubs, Unicredit, Hsbc e tante altre (vedi il rapporto Bankrolling Climate Change.

“Le persone coscienziose – dice Desmond Tutu – devono rompere contro banche che finanziano l’ingiustizia del cambiamento climatico”.
Se parrocchie come comuni, diocesi come regioni decideranno di ritirare i propri soldi da quelle banche che finanziano i combustibili fossili, otterremo molto in fretta chiare scelte da parte del nostro governo per salvare la Madre Terra.
Tutto questo lo possiamo ottenere se le realtà di base, sia laiche che religiose, formeranno un forte movimento popolare per salvare e fare pace con la nostra amata Madre Terra.
È un impegno etico fondamentale per tutti noi.   Diamoci da fare perché vinca la Vita!

·         Da comune-info.net   -  6 giugno 2016  
foto di Break Free PNW, maggio 2016: una delle azioni di protesta contro l’utilizzo dei combustibili fossili, promossa dal movimento Break Free negli Usa
Per adesioni: appelloclima@gmail.com

3 giugno 2016

Il lato oscuro del carbone irrompe tra gli azionisti Enel



Sono passate inosservate alcune parole di Francesco Starace, amministratore delegato dell’Enel, all’ultima assemblea degli azionisti, il 26 maggio a Roma. «Ci è noto che in passato ci sono state violazioni dei diritti umani» in una regione mineraria colombiana, ha detto: «Andremo di persone a verificare e se vedremo cose che non ci piacciono usciremo dalla Colombia». Importante: è un impegno annunciato in via ufficiale, agli azionisti (anche se pochi media l’hanno ripreso: forse non capivano di cosa stesse parlando).


Starace stava parlando del Cesar, Colombia nord-occidentale, regione con catene montagnose e vallate agricole, e grandi miniere di carbone. Privatizzate alla fine degli anni ’80, le miniere sono in concessione alla compagnia Drummond (Usa) e a Prodeco (controllata da Glencore, compagnia anglo-svizzera). Il carbone estratto nel Cesar fa quasi metà della produzione colombiana, circa 80 milioni di tonnellate l’anno; trasportato ad alcuni porti sulla costa del Caribe, prende tutto la via dell’export. E in parte arriva in Italia, importato da Enel per alcune delle sue centrali elettriche.

Per questo l’amministratore delegato dell’Enel parlava della lontana regione mineraria colombiana. (Sì, proprio quel Francesco Starace che in una lezione alla Luiss ha spiegato come si governa un’azienda: “colpire, distruggere fisicamente, creare malessere, ispirare paura, far soffrire”, versione moderna dell’ottocentesco padrone delle ferriere).
In effetti Starace stava rispondendo alle domande di un’azionista, per la precisione una rappresentante di Re:Common, associazione che lavora «per sottrarre le risorse naturali alla finanza e al mercato» (è una tattica ormai consolidata di molte organizzazioni della società civile in tutto il mondo: compri qualche azione di una grande azienda così hai il diritto di intervenire all’assemblea degli azionisti). Dunque Re:Common, come altre ong europee, era là per segnalare che nella regione del Cesar sono avvenute violenze e abusi contro i lavoratori e la popolazione. Ha ricordato che Drummond è stata accusata di complicità nell’uccisione di tre sindacalisti, assassinati dagli uomini di un gruppo paramilitare a cui la compagnia mineraria aveva affidato la sua sicurezza (a onor del vero durante il processo per quegli omicidi Drummond non è stata condannata, nonostante le testimonianze degli imputati stessi).

Chi ha visitato la regione mineraria colombiana (come ha fatto la rappresentante di Re:Common) descrive un clima di terrore: le compagnie pagano paramilitari per garantirsi la sicurezza (e tenere lontana la guerriglia delle Farc, vecchio conflitto colombiano che forse ora arriva a una ricomposizione grazie a un processo di pace), e ovviamente evitare eventuali dispute sindacali. Questo si traduce in «una serie interminabile di massacri, torture, abusi sessuali, desaparecidos».
«Nella regione mineraria del Cesar fra il 1996 e il 2006 sono state assassinate 3.100 persone e altre 55mila sfollate», ha ricordato la rappresentante di Re:Common agli azionisti Enel. La sua associazione ha fatto un vero lavoro di giornalismo investigativo, e ricostruisce la situazione in un rapporto-reportage Profondo Nero. Il viaggio del carbone dalla Colombia all’Italia (si può leggere qui). Ha anche prodotto un video, La Via del Carbone, di Bruno Federico e Nadja Drost (si può vedere qui). 

Dunque, da diversi anni le compagnie Drummond e Prodeco sono al centro di controversie e accusate di complicità in queste violenze (denunciate già tempo fa da organizzazioni per i diritti umani, come la olandese Pax). Eppure, «negli stessi anni l’Europa ha continuato a importare centinaia di milioni di tonnellate di carbone da quella regione, senza affrontare in maniera seria la questione delle vittime e senza fare pressione sulle compagnie minerarie», ha ricordato la “piccola azionista” di Re:Common. Ora però ci sta arrivando.

La rappresentante di Re:Common ha elencato le società energetiche europee che stanno riconsiderando i rapporti con Drummond e Prodeco – da quando, nel 2014, rappresentanti della società svedese Vattenfall, di E.ON, RWE e Engie si sono recati nel Cesar con il ministro olandese del Commercio con l’estero e hanno riconosciuto pubblicamente la questione delle vittime della violenza paramilitare. Molte organizzazioni della società civile chiedono che vadano oltre, facciano pressione su Drummond e Prodeco perché risarciscano le vittime.

Insomma, e l’Enel cosa fa? Beh, finalmente il gruppo energetico italiano risponde. «Prendiamo sul serio la vostra segnalazione», ha detto Starace rispondendo a Re:Common. Dunque le pressioni dei “piccoli azionisti” hanno avuto un primo effetto, anche Enel andrà a vedere come stanno le cose. Ora prendiamola sul serio: aspettiamo il seguito.

 fortimar ( Marina Forti ) su  www.terraterraonline.org  -  30 maggio 2016

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