13 febbraio 2017

Il great game politico-sanitario mondiale




Il primo problema di cui la nuova direzione dell’OMS dovrà occuparsi è il disimpegno dei governi e la crescente penetrazione del settore privato nelIa definizione delle priorità dell’organizzazione
Il 2017 continua a profilarsi anno di novità per le Nazioni Unite. Dopo l’avvicendamento del Segretario Generale a New York all’inizio di gennaio, tocca alla direttrice dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) Margaret Chan passare la mano, entro il prossimo maggio, a una nuova direzione che si insedierà formalmente il 1 luglio. In questi giorni, i 34 paesi membri del Consiglio Esecutivo dell’Oms hanno concluso la prima fase della selezione dei sei candidati in pista, per la votazione finale prevista durante l’Assemblea Generale (22-31 maggio). L’italiana Flavia Bustreo, assistente della direzione generale e candidata interna, non ha passato il primo turno elettorale. Adesso la campagna si gioca tra l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus (che ha avuto 30 voti), la pakistana Sania Nishtar (la vera sorpresa di questa elezione, con 28 voti), e l’inglese David Nabarro (18 voti).
Il percorso elettorale risente positivamente di alcuni cambiamenti dovuti alla riforma dell’Oms, in termini di trasparenza e di processo democratico. Un voto segreto a maggio potrebbe riservare inedite sorprese sull’esito finale, dopo la riconferma della Chan nel 2012 senza alcuna competizione elettorale. Il ruolo è di complessità inaudita, non c’è dubbio, e richiede criteri di leadership manageriali e diplomatici imponenti. Purtroppo, la dinamica dell’elezione interpreta, ancora una volta, il great game politico-sanitario mondiale. Così, fino a maggio, questo sarà il primo test dell’effetto Trump sulle Nazioni Unite. Sarà da misurare la possibile preferenza della Cina per il candidato africano. Brexit a parte, i governi europei potrebbero decidere di convergere sull’inglese David Nabarro, noto per la sua vicinanza al mondo dell’industria.

Guidare oggi un’istituzione pubblica come l’Oms, decisamente indebolita e in ricerca di una nuova credibilità dopo la sequenza di fallimenti nella gestione della influenza pandemica H1N1 (2009) e della epidemia di Ebola (2014-2015), richiede una visione politica coraggiosa. Le sfide planetarie che si abbattono oggi sullo stato di salute delle persone – conflitti armati, inquinamento, cambiamenti climatici, disoccupazione, migrazioni, politiche nazionali di privatizzazione, misure di austerità e disuguaglianze diffuse – rimandano sempre di più ai determinanti sociali della salute e alle necessità di considerare questi diritto in un’ottica di protezione sociale universale e di politiche pubbliche. Almeno 135 paesi membri dell’Oms hanno incorporato il diritto costituzionale della salute, nel nord e nel sud del mondo. E’ francamente difficile intravedere questo tipo di narrazione nelle stanze dell’Oms questa settimana: prevale il discorso della health security (ovvero il contenimento delle malattie con tentazioni neo-colonialiste), dell’intervento di emergenza sanitaria, insomma un approccio umanitario che – dopo Ebola – potrebbe riorientare l’Oms e distrarla dalla funzione normativa, non sempre gradita ai governi che contano. Se prevalesse questo approccio, Nabarro potrebbe vantare un vantaggio competitivo sugli altri candidati.

L’Oms potrebbe essere compromessa “oltre ogni possibilità di recupero”, scrive senza fronzoli l’ultimo editoriale della rivista Lancet. In effetti, molti sono i nodi al pettine dopo sei dolenti anni di riforma capestro avviata nel 2010 dalla Chan per accattivarsi nuovi flussi finanziari e introdurre una operatività più riconoscibile e coerente ai tre livelli della struttura (Ginevra, gli uffici regionali e le sedi nei singoli paesi). La frammentazione della struttura resta però tutt’altro che sanata, si continua a lavorare in silos, anche grazie agli interventi di Mckinsey un decennio fa, che hanno puntato più alla concorrenza che alla trasversalità, tra i vari dipartimenti dell’agenzia. I numerosi tagli poi hanno prodotto un’emorragia dei funzionari più competenti, rimpiazzati spesso da giovani alle prime armi e con contratti più leggeri, più malleabili, e ricattabili. Un impoverimento istituzionale che non depone a favore del futuro dell’Oms, a meno di una forte direzione capace di invertire la rotta. Gli Stati Membri hanno una clamorosa responsabilità di questo declino. A loro spetterebbe riguadagnare terreno per gestire la salute in un’ottica pubblica, anche sul piano globale. Invece forniscono solo il 35,8% dei fondi all’Oms, di cui solo il 21% sono utilizzabili con una certa discrezionalità. Condurre un’organizzazione senza controllo sull’80% del proprio budget è un mestiere estremo!

Il primo problema riguarda dunque il disimpegno dei governi e la crescente penetrazione del settore privato nelIa definizione delle priorità. Un fenomeno che non ha risparmiato l’Oms, man mano che la globalizzazione dell’economia e le diverse ondate di privatizzazione e deregolamentazione hanno accresciuto il potere degli attori privati, in particolare delle grandi imprese, nella diplomazia internazionale. La creazione del Global Compact, voluto da Kofi Anan per aprire le porte delle Nazioni Unite al mondo del business in vista degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, lo sviluppo del modello multistakeholder e l’affermazione ideologica dei partenariati pubblico-privati come sola modalità di lavoro, non sono che l’espressione più evidente di una strategia volta a de-istituzionalizzare o ibridizzare l’ONU, per dare spazio e capacità di influenza a questi potenti attori nei fora di politica internazionale. Lo stesso paradigma, del resto, sottende acriticamente al nuovo impegno sugli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile (SDGs), malgrado ne sia provata dopo due decenni la disfunzionalità.
La definizione del rapporto dell’Oms con gli attori non statali – la “Framework of Engagement with Non State Actors” (FENSA) – è stata al centro di quattro anni di aspri dibattiti negoziali, e si è conclusa con un dispositivo assai insoddisfacente per le organizzazioni della società civile impegnate su questo fronte. FENSA permette alle entità del business, alle fondazioni filantropiche e alle diverse partnership di entrare in relazione officiale con l’Oms. Il problema è che la gestione del conflitto di interessi non viene trattata con adeguatezza e realismo, e la promessa di trasparenza non illumina le ambiguità che permangono, a vari livelli.

La richiesta della Fondazione Bill e Melinda Gates (BMGF) di entrare in relazioni ufficiali con l’Oms, al vaglio dell’Executive Board in questi giorni, riaccende la discussione. Piuttosto improbabile che venga rigettata: la BMGF ha fornito all’Oms un contributo di 629 milioni dei 4,5 miliardi di dollari dell’ultimo budget, più del 13% di tutti i contributi volontari all’organizzazione. Le criticità strutturali si addensano dunque, e non poco. Anche perché la privatizzazione della salute nei paesi membri dell’Oms sembra essere contagiosa, e non è epidemia di cui medico si stia prendendo cura.

Le favolose scatole cinesi di Bill e Melinda
Fondata nel 1999 dalla fusione della William H. Gates Foundation e la Gates Learning Foundation, la Bill and Melinda Gates Foundation (BMGF) è la più grande fondazione filantropica del mondo, con una dotazione di 42,9 miliardi di dollari (marzo 2015). Con l’entrata di Warren Buffet con una dote di 30 miliardi di dollari nel 2006, la Fondazione si è divisa in due entità separate: la Bill and Melinda Gates Foundation, che distribuisce i fondi e la Bill and Melinda Foundation Trust, che gestisce gli asset patrimoniali.
Secondo ai dati della US Government’s Securities and Exchange Commission, il patrimonio della Bill and Melinda Foundation Trust ha considerevoli investimenti in diverse industrie alimentari e in altri settori di prodotti al consumo che minacciano la salute, e possono causare malattie cardiovascolari, cancro, e diabete. Questi investimenti includono:
  • · 466 milioni di dollari nella industria della Coca-Cola che opera a sud degli USA ;
  • · 837 milioni di dollari nella Walmart, la più grande catena di cibo, di farmaceutici e di alcolici negli USA;
  • · 280 milioni di dollari nella Walgreen-Boots Alliance, una grande multinazionale per la vendita di farmaci al dettaglio;
  • · 650 milioni di dollari in due giganti della produzione di schermi televisivi, GroupTelevisa ($433 ml) e Liberty Global PLC ($221 ml).
  • In aggiunta, tramite Warren Buffet, un quarto del patrimonio della Fondazione detiene investimenti nella Berkshire Hathaway Inc., una holding con 17 miliardi di azioni nella Coca-Cola company degli Stati Uniti, e 29 miliardi di fondi investiti nella Kraft Heinz Inc., una delle prime dieci aziende nel comparto alimentare. Tutti questi investimenti fanno della Fondazione Bill e Melinda Gates una beneficiaria della vendita di diverse categorie di prodotti, soggetti agli standard e alle regolamentazioni dell’Oms, nonché alle politiche dei governi su questioni di nutrizione, cibo e salute. E’ una bizzarra coincidenza che, nel Registro dei Non State Actors, questa trama di conflitti di interesse non venga minimamente presa in considerazione.
Le associazioni della società civile internazionale hanno sottoscritto una lettera ai governi dell’Executive Board, con cui si chiede con urgenza di deferire ogni apertura di credito alla BMGF e di evitare decisioni che potrebbero mutare definitivamente la natura dell’agenzia ed erodere ogni mandato costituzionale a favore dei diritto alla salute. Prima che sia troppo tardi!

* da sbilanciamoci.info - 30 gennaio 2017

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