11 luglio 2017

G20, energia. Trump e gli altri ipocriti



Ad Amburgo, al vertice dei G20, la situazione si fa incandescente. Ad accendere la miccia, però, non sono state certo le proteste. L’atteggiamento irresponsabile dei leader mondiali è impressionante. Sul piano ambientale lo testimoniano in primo luogo le cifre. Gli Stati, a cominciare da quelli europei, pronti alla levata di scudi sul mancato rispetto degli impegni sul riscaldamento del pianeta da parte di Trump, continuano a destinare come nulla fosse fiumi di denaro per l’estrazione di petrolio, gas e carbone tramite le agenzie di credito all’esportazione e le istituzioni nazionali, bilaterali e multilaterali di sviluppo. L’Italia è in prima fila, sostiene le fonti energetiche più inquinanti con 2,1 miliardi di dollari l’anno, mentre alle rinnovabili destina appena 123 milioni. E pensare che al mondo fanno credere che bisogna stare col fiato sospeso per sapere se questa volta Trump ha stretto la mano alla Merke


di Luca Manes *

Fra il 2013 e il 2015 i Paesi del G20 garantiscono 71,8 miliardi di dollari in fondi pubblici al settore dei combustibili fossili. Al comparto delle rinnovabili va solo un quarto di questa somma. Lo rivela “Talk is Cheap” un rapporto redatto da Oil Change International, Sierra Club, WWF e Friends of the Earth USA, e sottoscritto tra gli altri anche Re:Common, lanciato nelle ore che hanno preceduto il summit delle 20 principali potenze globali in programma ad Amburgo (Germania) il 7 e 8 luglio.
Gli stati “favoriscono” l’estrazione di petrolio e carbone tramite le agenzie di credito all’esportazione e istituzioni nazionali, bilaterali e multilaterali di sviluppo. Nel caso dell’Italia, presidente di turno del G7 di fatto “boicottato” da Donald Trump, il sostegno pubblico alle fonti energetiche più inquinanti in primis tramite la Sace (agenzia pubblica di credito all’export nostrana) ammonta a 2,1 miliardi di dollari l’anno, a fronte di un misero totale di 123 milioni per le rinnovabili. Le più avanzate ricerche scientifiche indicano che se si vogliono rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul Clima, almeno l’85 per cento delle riserve di combustibili fossili devono rimanere nel sottosuolo. Eppure i paesi del G20 destinano fino a 13,5 miliardi di dollari per nuove esplorazioni, una forte contraddizione rispetto alla levata di scudi di molti leader, in particolare quelli dell’Unione europea, nei confronti del clamoroso passo indietro dell’amministrazione Trump rispetto all’intesa sui cambiamenti climatici presa alla COP 21 di Parigi del 2015. Le agenzie di credito all’export meno “amiche del clima” sono nell’ordine quelle di Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti, con la Chexim cinese l’ente che maggiormente sostiene l’estrazione del carbone.

E’ vergognoso che l’assicuratore pubblico italiano sia in prima fila nel finanziarie l’espansione dell’uso del carbone e nuove esplorazioni di gas in giro per il mondo”, ha dichiarato Antonio Tricarico di Re:Common. “Si pensi ai nuovi impianti a carbone di Punta Catalina in Repubblica Domenicana, o quello di Long Phu 1 in Vietnam, per non parlare delle mega operazioni offshore dell’ENI in Mozambico. Tutti progetti garantiti da ‘Stato Pantalone’, che facilmente dimentica gli impegni presi a Parigi quando si tratta di foraggiare gli affari dei soliti noti”, ha concluso Tricarico.


 Fonte:  Re:common    * da comune-info.net 7 luglio 2017

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