22 ottobre 2017

L’Europa abolisce la morale: dalla Spagna al ritorno di Berlusconi.



L’Ue ha concentrato biecamente i propri sforzi sull’economia “ingegneristica” anziché su quella “etica”

di Beppe Grillo *

Esiste una morale europea? No. La morale è di chi sceglie il proprio comportamento in modo libero, in relazione a un insieme di riferimenti che, ovviamente, fanno capo a un certo gruppo sociale. Un esempio… gli italiani: difficile dire quanto siano riuniti entro una cerchia omogenea di riferimenti morali (una percezione comune del bene e del male). Negli ultimi tre decenni, il Paese ha visto i suoi confini sbiadirsi progressivamente e asimmetricamente. Siamo italiani ed europei al contempo. La giustapposizione di queste due identità ha avuto conseguenze sulla percezione del bene e del male, sulla morale e sull’etica?

Andiamo un attimo in Spagna: gracidano ancora i postumi del referendum catalano, eppure già sappiamo una cosa, con certezza: quanto latte produci è un problema europeo, mentre un possibile stravolgimento dei confini interni non lo è. “L’Europa si è espressa”… Quel gruppo di banchieri che pretende di esserne il faro dice “sono affari interni della Spagna!”. Probabilmente c’è soltanto da ringraziare il cielo per questo ma… cos’è un affare interno dell’Europa? In questa logica non stupisce che in Spagna un vecchio attrattore sociale tenda a sostituire il nulla generale: vedi Catalogna.

Ma qualcosa non quadra: cosa fare per la svendita dei beni e delle garanzie pubbliche in corso non è più “questione entro la sovranità nazionale” di Spagna, Italia, Olanda e Grecia! Non rimane più nulla che un Paese europeo, o un gruppo culturale ancora vivo al suo interno, possa decidere da solo.
La sovranità nazionale non esiste più, violentata e risucchiata dai tentacoli europei. Oramai questa stranezza è vissuta come fosse normale: mi si è dimezzata la pensione, devo mangiare porcherie cinesi, ma non saprei dire neppure se mi riguarda come uomo, come italiano o come europeo. Esiste un riferimento morale che mi aiuta a capire se è accettabile o no che le ragioni finanziarie possano cambiare le Costituzioni con molta più efficacia di quelle popolari? Per quanto l’euro sia una cosa che entra comodamente ma non esce mai più, una sorta di spada nella roccia, non è detto che dobbiamo diventare tutti psicopatici (vivere sprovvisti di un senso morale collettivo).

Il peccato originale dell’Ue è stato proprio quello di aver concentrato biecamente i propri sforzi sull’economia “in gegneristica” anziché su quella “etica” (distinzione di Amartya Sen): la prima si interessa dei temi prevalentemente logistici, tralasciando i fini ultimi e le domande quali “come bisogna vivere” e “come si può promuovere il bene umano”.
Questo approccio ha portato a un grave scollamento fra economia ed etica, con un’economia europea emancipata da qualsiasi principio morale e avulsa da un senso di identità comune. Un sistema paramedievale, in cui il cittadino è sottomesso a stringenti vincoli e soffocanti doveri a fronte di esigui diritti (il più delle volte solo sulla carta), e si riduce così a suddito, schiavo senza dignità.
Viene in mente un brano di Tocqueville (La democrazia in America, 1840), che pare scritto oggi: “Vi sono certe nazioni europee in cui l’abitante si considera come una specie di colono, indifferente al destino del luogo che abita. I più grandi cambiamenti si verificano nel suo paese senza il suo concorso; non sa nemmeno cosa sia avvenuto […] pensa che tutto questo non lo riguardi, che appartenga ad un potere straniero chiamato governo. Quest’uomo, benché abbia fatto un sacrificio così completo del suo libero arbitrio, non predilige, più di un altro, l’obbedienza. Si sottomette, è vero, al beneplacito di un funzionario; ma si compiace di sfidare la legge, come un nemico vinto, appena la forza si ritira.
Così lo si vede incessantemente oscillare tra servitù e licenza”. Quando si verifica una crisi, come quella economica ad esempio, la morale si “restringe” in sottogruppi più piccoli perché il gruppo allargato in cui si è manifestata la crisi è cambiato per il disastro finanziario. Ipotesi: la crisi ha colpito X milioni di persone contemporaneamente e ha modificato la loro stratificazione sociale. Il mondo di partenza (pre-crisi) si è suddiviso in due mondi: a) quello in cui la crisi si è originata e le cui peculiarità morali si sono modificate nei fatti – ad esempio è stato modificato lo statuto dei lavoratori e si è innalzata l’età pensionabile; b) altri mondi più piccoli che fanno capo a nuovi attrattori effettivi, come gli strati sociali modificati dalla crisi (scomparsa del ceto medio e così via).

Torniamo ora nel “mondo di partenza” italiano, dove le cose si fanno sempre più eteree: da quel mondo centrale continua a dipendere il governo (che non è stato diviso ovviamente) e in quel mondo confluiscono le tasse. Queste provengono dai sottomondi che si sono modificati: il sudore della fronte viaggia verso un mondo centrale in cui sembrano perdersi sia i nostri soldi che i nostri diritti.
I media sono fondamentali: è questo il momento in cui iniziano a parlare di minuzie, fatterelli di cronaca con una rilevanza sociale iniqua rispetto ai temi centrali legati alla crisi che ha originato questo stato di cose. Il meccanismo è chiaro: una sorta di moderna versione del panem et circenses, specchietti per le allodole per distrarre il popolo dai problemi reali, dirottandone l’attenzione verso fatti secondari. Se non, sempre più spesso, inebetendolo per farlo indietreggiare nell’asilo dell’ignoranza, nell’asfissia morale più completa.

Siccome ogni sistema tende a preservare se stesso – sia esso formicaio, gruppo di cheer leader, mafia, ordine degli architetti, unità monetaria (!) -, il mondo di partenza si camuffa sotto altre spoglie (lo sa fare un polpo, figuriamoci un insieme di umani) generando una seconda morale profondamente amorale. Una morale che, per esempio, digerisce l’osceno ritorno del Re Sòle, un vecchio malvissuto dalla canizie vituperosa, per dirla alla Manzoni, che gira impunemente per i media senza che nessuno osi chiedergli “dove cazzo sei stato in questi anni, vecchio balordo pregiudicato doloso?”. E, al contempo, si cercano pretesti per attaccare chi stoicamente insiste nel tentativo (difficilissimo) di mantenere e migliorare quel che resta della morale di partenza del gruppo iniziale, dello Stato italiano o comunque lo si voglia chiamare.

Perché, con l’avvento della crisi, non è nata una nuova morale, è stata disciolta quella precedente. Ma perché lo abbiamo permesso, come han fatto a sedarci, ad anestetizzare il nostro senso di giustizia, pudore, verità? È curioso come lo stesso fenomeno di devitalizzazione della morale rischi di emergere adesso in Sicilia, con una proposta politica che punta a riportare in auge un vecchio attrattore sociale che puzza di mafia e di malaffare: un’identità che si sperava ormai putrefatta e che, invece, si riaffaccia impunemente.

Ed ecco come: tanto più è rarefatto e spersonalizzato quel vuoto centrale, tanto più profondo sarà l’arretramento dei frammenti che ne derivano. E ancora più intenso il loro rifugiarsi e rinchiudersi intorno a vecchie, putride, logiche: mafia, padre-padrone, fascismo ecc. Perché ciò accada è indispensabile che resti ossigeno per tutti (anche se diminuito pro capite): ecco spiegate le finte reminiscenze di sinistra del PD e quelle nostalgico-ributtanti del PD-L.
Così stiamo perdendo la nostra essenza collettiva. Ma restare immobili di fronte a questa mattanza morale vuol dire essere degli psicopatici, insensibili alla gioia, al dolore, al “welfare” diventato “malfare”. Non c’è molto di cui essere orgogliosi; e non potrà farci sentire meglio qualche scusetta da impiegato di banca di fronte a un cliente rovinato. Non basteranno queste piccole cose a giustificare il mondo senza morale che stiamo vivendo e lasciando ai nostri figli.

A questa tirannia dell’ignoranza e dell’indifferenza bisogna reagire riportando in primo piano il tema dell’educazione. “Abbiamo perduto tutto –diceva Fichte –ma ci resta l’educazione”. Ecco, forse noi abbiamo perduto anche quella. Occorre mobilitarsi, sentire come urgente la necessità di una educazione NUOVA, che sia elemento costitutivo del cittadino, europeo e nazionale, e possa formarlo nella sua libertà e intelligenza, dandogli gli strumenti per crearsi una morale capace di penetrare la vita sociale.

* pubblicato il 22 ottobre da infosannio , origine ilfattoquotidiano

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